di Giuseppe Ottria, Alessandro Ellero, Giulio Masetti e Giuseppe Turrini*

Alla fine dello scorso mese di novembre 2018, la notizia dell’avvenuto atterraggio su Marte della sonda NASA Insight ha avuto grande risonanza sui media internazionali. L’obiettivo principale della sonda, dotata di una trivella di realizzazione italiana e di un sismografo, è quello di studiare la geologia e misurare gli eventuali terremoti del “pianeta rosso”. Da geologi questa notizia ha provocato sensazioni contrastanti. Da un lato la conferma dell’importanza della nostra tematica scientifica come base di conoscenza primaria ed essenziale. Al contrario, è sconfortante constatare che di geologia se ne parli a riguardo di un pianeta lontano mentre per il pianeta Terra, ed in particolare in Italia, sia un argomento spesso dimenticato come punto di partenza del quadro conoscitivo necessario per una corretta gestione del territorio, includendo la prevenzione e la protezione dai rischi geologici e la ricerca delle risorse naturali.

In questo intervento sul blog di Acquifera vogliamo sottolineare l’importanza della geologia ed in particolare della geologia strutturale nella ricerca d’acqua. La geologia strutturale è una disciplina che parte dallo studio di terreno degli affioramenti di roccia per caratterizzare le attuali geometrie e le deformazioni delle rocce. L’obiettivo primario è la definizione della distribuzione in 3D, e quindi anche in profondità, nel sottosuolo, dei principali blocchi di roccia. La completa caratterizzazione delle strutture della crosta terrestre dal punto di vista della geometria (cioè la loro orientazione nello spazio) e della cinematica (cioè i loro movimenti relativi) permette di ottenere informazioni sulle forze che ne hanno causato la deformazione, in altri termini, sulla dinamica terrestre.

I risultati dell’applicazione dei concetti della geologia strutturale non hanno però esclusivamente ricadute scientifiche ma possono essere anche economicamente rilevanti. La ricostruzione di un “modello geologico” è infatti di primaria importanza per l’individuazione delle risorse naturali intrappolate nel sottosuolo, all’interno delle rocce. Una di queste risorse è l’acqua ed in particolare l’acqua potabile, il cui accesso, imprescindibile per la vita umana, è sancito come diritto universale.

La geologia strutturale risulta quindi lo strumento conoscitivo di base per individuare e stimare l’acqua sotterranea che rappresenta, a livello mondiale, fino al 40% dell’acqua utilizzata a scopo idropotabile. L’aumento esponenziale della richiesta ha sottoposto i serbatoi idrici sotterranei, i cosiddetti acquiferi, ad uno sfruttamento non sostenibile. Gli acquiferi che per primi hanno subito un forte impoverimento sono quelli di pianura, gli “acquiferi porosi”, dove l’attingimento attraverso pozzi nella coltre alluvionale costituita da sedimenti sciolti (ghiaie e/o sabbie) e senza una particolare complessità della struttura geologica, è relativamente più facile.

In questo contesto di complessiva scarsità d’acqua, esasperato da un oggettivo cambiamento climatico in atto, la ricerca di acqua potabile di buona qualità si deve necessariamente rivolgere e concentrare verso gli acquiferi in roccia i cosiddetti “acquiferi fratturati”. In questo tipo di acquiferi, infatti, la circolazione idrica dovuta alla permeabilità è strettamente collegata alla presenza, alla diffusione ed alla interconnessione delle fratture nelle rocce.

La caratterizzazione degli acquiferi fratturati comporta un approccio iniziale che comprende l’identificazione delle fratture, la definizione se le fratture identificate sono o meno idraulicamente attive e la determinazione delle proprietà idrauliche delle fratture. Si possono individuare anche strutture chiamate faglie, zone fratturate principali che suddividono in blocchi le unità rocciose e che rivestono un ruolo importante nella circolazione idrica agendo come barriera impermeabile o, al contrario, come canalizzatore del flusso. Nel caso degli acquiferi fratturati, quindi, la geologia strutturale diventa ancor più fondamentale per definire le dinamiche della circolazione idrica in sotterraneo. L’obiettivo è quello di ricostruire a diverse scale di osservazione le deformazioni che interessano le formazioni geologiche individuando, oltre ai sistemi di faglie e fratture, i sistemi di pieghe. Il risultante modello geologico consentirà, integrato con altri dati idrogeologici, di conoscere il modello di circolazione idrica e la quantità d’acqua immagazzinata e disponibile nell’acquifero per definirne una gestione sostenibile nel tempo.

Un approccio di questo tipo è stato sviluppato nell’ambito di un progetto pilota svolto dall’Istituto di Geoscienze e Georisorse di Pisa con finanziamenti di Regione Toscana e Consorzio LaMMa. L’area campione scelta per la ricostruzione del modello geologico e gli studi sulla fratturazione ricade nel principale acquifero in roccia della Regione Toscana, rappresentato dalle arenarie del crinale dell’Appennino tosco-emiliano. I primi risultati hanno permesso, da un lato, di suddividere l’acquifero all’interno dello stesso bacino idrografico in due distinti acquiferi separati da una barriera di argilliti impermeabili, e dall’altro, di caratterizzare l’acquifero in base ai sistemi di frattura presenti nei diversi tipi di roccia correlando gli specifici parametri della fratturazione con la produttività idrica delle formazioni geologiche dell’Appennino tosco-emiliano.

La migliore conoscenza del potenziale serbatoio idrico consente di poter scegliere con un buon grado di approssimazione il sito dove ubicare uno o più pozzi produttivi per acqua, ottenendo un notevole risparmio economico sulle spese di perforazione. Questa procedura dovrebbe rientrare tra le buone pratiche nelle attività per la ricerca d’acqua in tutti i contesti ma ancor più nelle regioni del Terzo Mondo che soffrono di un elevato deficit idrico e dove la realizzazione di pozzi ubicati casualmente mette a rischio la reale capacità di individuare un acquifero produttivo e disperde risorse finanziarie senza il risultato atteso.

La condivisione dell’approccio metodologico, fondato sullo studio geologico-strutturale, e delle rispettive finalità istituzionali è alla base della collaborazione tra Acquifera Onlus e Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR di Pisa formalizzata fin dal 2012 attraverso la stipula di un protocollo d’intesa “per lo sviluppo di progetti finalizzati alla ricerca delle risorse idriche in Paesi del Terzo Mondo”. L’obiettivo generale, che abbiamo provato a chiarire in questo contributo, è quello di inquadrare la ricerca d’acqua in una prospettiva scientifica di alto valore sociale che conduca all’individuazione, alla fruizione ed alla gestione sostenibile di acquiferi idonei per il consumo umano.

*Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR di Pisa

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